Durante la guerra di Liberazione, come in altre circostanze simili, lo scontro tra i contendenti avviene sul piano dell’offesa armata, della distruzione di corpi e cose, ma anche su quello dei segni e dei significati culturali: un conflitto parallelo tra contrapposte visioni del mondo che uomini e donne impiegano per mostrare le proprie ragioni, per distinguersi, per esistere.
Dall’universo simbolico che scaturisce, dalla forte carica emotiva spesa da quanti rimasero coinvolti nasce il senso di questo libro. Riti, consuetudini, apparati simbolici e miti sono gli argomenti che si indagano dell’avventura partigiana; un’avventura inizialmente priva di precise norme e, per questo motivo, capace di dare sfogo a una sorta di «creatività a caldo» che, nell’immediatezza degli eventi, costruisce e controlla l’immaginario.
Il lavoro prende avvio dalle reazioni popolari dopo la caduta di Mussolini del luglio ’43; fatto che si tramuta in un rovesciamento di potere espresso con numerose allegorie, al punto da trasformarsi in un vero e proprio carnevale di cui il duce può solo esserne il re. Si passa poi a indagare le esperienze della guerriglia: dalla ricerca di un’identità che rappresenti i combattenti come nuovi soldati e nuovi italiani all’uso degli apparati simbolici in tutte le fasi degli scontri armati, alla creazione di personaggi mitici della Resistenza, come Cino Moscatelli e Filippo Maria Beltrami, e al tramandarsi nel tempo della loro «leggenda». La ricerca si conclude con il ritorno a Mussolini, alle diverse memorie proposte dalla gente comune, tra critiche, aspettative mancate e condizionamenti della propaganda ancora attivi.
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