La Rete alimenta utopie di mondi perfetti, ma anche le distopie di un mondo che conosce una crisi permanente che assume le caratteristiche di apocalissi sociali, culturali e ambientali. Internet è un mezzo di produzione nonché una infrastruttura globale. È diventata cioè una risorsa pervasiva del vivere in società, ma fornisce anche la nuova materia viva di un immaginario che invoca con disinvoltura la fusione tra macchine digitali e cervelli umani: sogno o l’incubo di una frontiera elettronica dove spacciare per futuro prossimo la possibilità di una società dell’abbondanza per immortali che hanno reso il corpo e la materia organica residui passivi di un passato scandito dalla penuria. Cambia così il mondo del lavoro, dove uomini e donne sono ingabbiati in bacini deterritorializzati dove i konwledge workers convivono con facchini della logistica, ricercatori, «creativi» e operai industriali. Quello della rete è cioè l’universo concentrazionario della precarietà. La Rete è però anche l’atelier della opinione pubblica, fiorente settore produttivo saldamente nelle mani dei social network che funzionano come un potente e permanente dispositivo di controllo sociale. Internet come paradigma del capitalismo, che alterna promesse di libertà e costituzione di confini e muri che segmentano e rafforzano le differenze di classe su scala planetaria. Le forme di resistenza vanno dunque cercate in quella totalità concreta che ha vaporizzato le frontiere tra la realtà dentro e quella fuori lo schermo.
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