Lontano delle luci della ribalta, ma bene in vista quando se ne offre l’occasione d’un richiamo da cronaca nera, il pugilato è spesso sport sommerso. Sport popolare per eccellenza, scarso di mezzi e finanziamenti, ad animarlo sono personaggi particolari, tenaci o disincantati, tosti ma mai disperati: vecchi maestri e allenatori ruzzicosi, incalliti aficionados, mancate soubrettes, arbitri impostati e gente di periferia, acerbi o improbabili campioni.
E basta varcare la soglia di una palestra di pugilato, per immergersi negli umori di uno sport come questo, olimpico per elezione, che da tempo ha però scazzottato ogni ispirazione decoubertiana. Nessuno sale sul ring «per partecipare», e disciplina o sudore, abnegazione e sacrifici, ore e ore passate in guanti a scansare l’onda del sacco hanno poco del piacere disimpegnato o dell’intervallo da fitness.
Partita a pugni è dunque un viaggio tra le ostinate ragioni di chi continua ad amare questo sport e a riporre in esso il sogno e la sfida. Di chi continua a inseguire un mestiere e a fuggire la maledizione d’un lavoro, dandoci dentro di destro e sinistro, tra fotogrammi di film in bianconero o magari qualche nota musicale lasciata in eredità dagli anni Sessanta. A commento delle foto di Stefano Montesi, Claudio D’Aguanno ha posto una didascalia letteraria dedicata alla boxe, scovata tra le pieghe di una vastissima produzione che va dal Leopardi al Pasolini meno noto e che gioca d’incontro con citazioni d’Ariosto e Boccaccio, Belli e Porta, Gadda o Bianciardi.
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