A cento anni dalla Rivoluzione d’Ottobre, a fronte della crisi di civiltà che attraversa il mondo, è ancora possibile pensare, e progettare, il comunismo? Sì, dice l’autore di questo libro, a condizione però di ripensare radicalmente la tradizione dei movimenti rivoluzionari che si sono succeduti nell’ultimo secolo.
E la prima domanda a base di questo ripensamento non è quella del come costituire giuridicamente un nuovo ordine delle cose, ma come destituire – a livello giuridico, etico ed esistenziale – il presente, questo nostro presente che si presenta come «un cubetto di ghiaccio nel quale è contenuto il passato che non passa e il futuro che non viene».
Questo testo si confronta da un lato con i momenti rivoluzionari vissuti negli ultimi anni – dall’insorgenza argentina del 2001 a Occupy Wall Street negli stati Uniti, dagli Indignados spagnoli alla rivolta contro la loi travail in Francia, dalla Val di Susa alle primavere arabe – cercando di afferrarne i contenuti inediti e dirompenti e, dall’altro, inserendosi lungo una discontinua e frammentaria linea teorica che corre da Walter Benjamin a Giorgio Agamben, cercando di mettere in luce il significato fecondo di una potenza destituente il cui nuovo motto è: «Chiamiamo comunismo il movimento reale che destituisce lo stato di cose presenti».
La guerra civile e l’amore, l’architettura bolscevica degli anni Venti e la spiritualità militante, i divenire rivoluzionari e la quotidianità, la solitudine e la festa, la felicità e l’assenza di speranza, sono tra gli indici di questa ricerca.
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