Allievo di Husserl, poi di Heidegger e Scheler. Bocciato all’abilitazione alla docenza universitaria per volontà di Adorno. Marito di Arendt per pochi anni – forse troppo umbratile, forse chissà: fu tutto questo (e certo molto altro) Günther Anders, il cui pensiero questo libro ricostruisce con agilità e immediatezza attraverso la riflessione su cinque parole chiave. Due momenti nel Novecento – l’impiego della bomba atomica e il programma genocidario nazista – sono gli snodi di massima depressione umana e di raccapricciante violenza che spingono sino ai confini più lontani l’analisi del tempo presente, per indagare sino alle radici i paradossi in cui il genere umano si è avvitato riducendosi a homo materia. Nel (disperato) tentativo di trovare un pertugio, un dialogo con lui, Anders inviò due lettere a Klaus Eichmann, il primogenito di Adolf. E scrisse a Claude Eatherly, il meteorologo che valutò il cielo sopra Hiroshima come il più adatto per il lancio della prima bomba atomica. In queste lettere come in ogni altra sua opera Anders vuole rompere il maleficio. Per ciò implora un’adeguata assunzione di responsabilità, per la quale si impongono la comprensione e l’accettazione della condizione reificata dell’individuo contemporaneo e della perdita del senso del limite. Nella convinzione che osservare ciò che si fa e immaginare ciò a cui il nostro agire conduce sia l’unica via di riscatto per l’umanità, la sola speranza per il pianeta e la strada per la pace.
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