Nella Bologna di fine Settecento, popolata da mendicanti, furfanti e banditi, con i primi riflessi locali della Rivoluzione francese si fa spazio presso le classi subalterne una chiara percezione di sé come soggetto politico e sociale autonomo. In un sistema economico chiuso, che costringe la popolazione a condizioni di vita intollerabili, fanno la loro comparsa congiure, complotti e rivolte. Una sorta di «giacobinismo» plebeo, rudimentale, violento, che ha il merito di strappare la politica al Palazzo e di radicarla nella quotidianità popolare.
E ciò che distingue i giacobini bolognesi da quelli del resto d’Italia è il loro essere perennemente circondati da una folla di plebei entusiasti, che li difende e li segue nelle loro iniziative, ovunque brutalmente represse dalle armate francesi discese in Italia sotto la guida di Napoleone. Lo spartiacque tra due secoli scandisce l’emergere di una nuova soggettività: va infatti in frantumi l’iconografia settecentesca di una plebe sottomessa, acquiescente alle ingiustizie e ossequiosa dell’autorità.
La narrazione di Valerio Evangelisti, in cui compaiono icastiche figure di popolani ribelli e scorrono spettacolari scene di sommosse, incendi, impiccagioni, è sostenuta da un poderoso impianto di fonti documentarie reperite negli archivi giudiziari e negli atti processuali del tempo, cercando soprattutto di riportare in presa diretta le voci della plebe bolognese così come si esprimono negli interrogatori davanti a giudici e cancellieri.
In questo libro Valerio Evangelisti mette al servizio del lavoro storico il proprio talento narrativo e letterario, nel tentativo di riportare la plebe sul palcoscenico della storia.
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