Le diversificate e complesse vicende dell’Autonomia operaia nel Meridione raccontate da una pluralità di voci – intellettuali, operai, disoccupati, studenti, femministe – attraverso un decennio di lotte e organizzazioni, di contraddizioni e limiti. La storia sconosciuta degli anni Settanta al Sud, rimossa dalla politica e dalla cultura istituzionali, omologata nello stigma del «terrorismo».
Gli autonomi meridionali non ebbero la fabbrica e l’operaio della catena di montaggio come elementi centrali del proprio intervento politico. La loro azione si concentrò nella dimensione urbana e sui territori, i soggetti di riferimento costituivano l’allora nascente «operaio sociale». L’immutabile staticità, cui lo Stato continuava a inchiodare il Sud, veniva rotta da pratiche che rievocavano lo spettro dei briganti dell’Ottocento, a suon di sollevazioni e contestazioni a preti, politici e padroni.
In quel Mezzogiorno che si voleva narcotizzato sorsero così collettivi autonomi che diedero vita a lotte e rivendicazioni che segnarono un’intera generazione, con un prolifico lavoro culturale costituito da riviste, opuscoli, giornali, radio diffuse.
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