«Come cambiare il mondo senza prendere il potere?» si chiedeva il sociologo e militante americano John Holloway nel suo libro più conosciuto. Crack Capitalism ne rappresenta l’approfondita risposta. Una risposta all’apparenza semplice: creando zone di frattura nelle forme di dominio del capitalismo e lasciando che queste fratture si espandano. Secondo Holloway, le forme di vita, di relazione, di conflitto, di lavoro che si sottraggono alla logica del capitale non cessano di proliferare. Innumerevoli sono le istanze di produzione di spazi liberi, di spazi della «dignità».
Ma per Holloway si tratta anche di dare a questi spazi una forma che non sia più in alcun modo riconducibile a quella del capitale, dunque una forma quanto più possibile lontana da quello dello Stato.
La nuova grammatica della rivoluzione deve dunque partire dalla forma stessa dell’organizzazione, che è in quanto tale un momento di sottrazione alla dinamica del potere: dalla Comune di Parigi alle asambleas argentine, numerose sono le esperienze storiche e contemporanee a cui guardare. Sono questi momenti quotidiani di ribellione, nei quali sperimentare diverse modi di fare, che rappresentano delle vere e proprie crepe del sistema di sfruttamento.
Recensioni
Roberto Tronk –
Recensione di Pierluigi Sullo a “Crack Capitalism” di John Holloway – da Il Manifesto, 16 giugno 2012
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